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Sanatoria, Condono, Pulizia? Nel frattempo quello che succede è che i debiti fiscali non riscossi sono accresciuti dalle liti inutili ed alla fine diventano inesigibili.

20.11.2022 12:41

Sanatoria, Condono, Pulizia? Nel frattempo che si discute inutilmente ed a vanvera, succede che i debiti fiscali non riscossi vengono accresciuti dalle liti inutili ed alla fine diventano comunque inesigibili.

Il nuovo governo, in questi giorni, ritorna su un tema scottante, caro a migliaia di contribuenti; infatti, si torna a parlare di pace fiscale, con nuove sanatorie e rottamazione cartelle, per fare un po' di pulizia sulle tante controversie pendenti.

Ammonta ad oltre mille e 100 miliardi di euro il valore dei debiti a ruolo non riscossi.

Purtroppo, a dispetto degli epiteti che l’opposizione lancia a tutti coloro che vogliono affrontare la situazione, facendo finalmente pulizia nel “magazzino ruoli” è un dato di fatto ed una certezza che probabilmente lo stato ne potrà incassare poco più del 5%., vuoi perché sono molti i contribuenti deceduti, falliti o nullatenenti, vuoi perché ci sono tutta una serie di aspetti e di situazioni particolari che oramai ne impediscono la riscossione.
Si grida al condono, si grida all’ingiustizia tra i contribuenti, ma coloro che alzano la voce non sono meno responsabili di ciò che si voglia imputare alla direzione che il governo attuale vuole indirizzare.
Cari amici che straparlate di condoni sanatorie, voglio ricordare che chi ha governato negli ultimi venti anni è il solo ed unico responsabile della situazione attuale, infatti non è stato capace di creare e governare un sistema di riscossione dei tributi, moderno, efficiente e soprattutto equo e giusto (a dispetto dell’acronimo equitalia).
Quindi è normale che ci si ritrovi,  come riferito dal direttore dell'agenzia delle Entrate, Ernesto Maria Ruffini in audizione parlamentare ad aprile scorso, un magazzino di dimensioni elefantiache che è diventato ingestibile.
A questo punto è assolutamente irrilevante il nome che si vuole attribuire ad un’enorme operazione di pulizia, che si rende necessaria, quanto meno per limitare i danni all’Erario, visto che oramai la maggior parte dei ruoli è assolutamente inesigibile, poiché in attesa delle scelte che il nuovo Governo riterrà di fare, sono frequenti le condanne agli uffici che proseguono il contenzioso anche in circostanze in cui la sconfitta è probabile. Con la beffa che l'erario non incassa nulla e l'ufficio deve pagare le spese di giudizio. In vari casi gli uffici potrebbero anche evitare la prosecuzione del contenzioso.

Abbiamo analizzato la linea della Cassazione su alcune casistiche che vanno dalla prescrizione dei tributi ai crediti da dichiarazioni omesse agli errori formali e quindi di seguito vi elenchiamo alcuni esempi, una serie di situazioni diverse, ma molto comuni, nei quali la Cassazione ha già espresso orientamenti univoci e consolidati che sconsiglierebbero la prosecuzione della lite.

  • Prescrizione dei tributi dopo cinque anni di silenzio
    Il primo aspetto che analizziamo e che poi è assolutamente il più frequente e comune a tutti i contribuenti è il fatto che negli estratti di ruolo sono presenti carichi risalenti addirittura ad oltre trent’anni (malgrado la recente operazione di pulizia dei ruoli effettuata con le rottamazioni, bis e ter)
    Tutte le richieste di pagamento, così come i fermi amministrativi, le iscrizioni ipotecarie e gli altri provvedimenti notificati infatti dopo i cinque anni dalla notifica della cartella di pagamento, sono prive di effetto. Secondo la Cassazione (a livello di Sezioni unite civili, sentenza 23397/2016, depositata il 17 novembre 2016), le pretese di pubblica amministrazione in generale, agenzia delle Entrate, Inps, Inail, Comuni, Regioni, e altri enti impositori, si prescrivono nel termine “breve” di cinque anni, con l'eccezione dei casi in cui la sussistenza del credito non sia stata accertata con sentenza passata in giudicato o a mezzo di decreto ingiuntivo.
  • Operazioni inesistenti
    Secondo la Cassazione, l’onere della prova è in capo all'ufficio che nega la detrazione dell'Iva a causa di presunte operazioni soggettivamente inesistenti, è infatti lo stessa Agenzia che deve fornire la “prova” che le operazioni non sono mai state attuate dal contribuente. In mancanza di questa prova, l'accertamento del Fisco deve essere annullato.
  • Quando, comunque, il credito deve essere riconosciuto
    Parliamo qui dei crediti che derivano dalle dichiarazioni omesse che, se spettanti, devono essere comunque riconosciuti dagli uffici. Sbaglia pertanto l’Agenzia quando nega il credito, proseguendo un inutile e perdente contenzioso e contribuendo a creare un danno all’erario, visto che le recenti sentenze oltre ad essere a sfavore dell’Agenzia, ne vedono anche la condanna alle spese. E’ necessario infatti per il contribuente,  dimostrare l'effettiva esistenza del credito, applicando le regole indicate nella circolare 21/E del 25 giugno 2013. Sono queste le indicazioni fornite dall'agenzia delle Entrate con la comunicazione di servizio n. 39, del 14 agosto 2013. Nella direttiva, l'Agenzia avverte che al contribuente deve essere concessa la possibilità di dimostrare l'esistenza contabile del credito per il riconoscimento immediato dello stesso.
  • Errori formali senza sanzioni
    Per i giudici della Suprema Corte (vedasi ordinanza 14933 dell’8 giugno 2018), non è punibile il contribuente che presenta in ritardo le scritture contabili, a condizione che la violazione sia priva di incidenza sulla determinazione della base imponibile dell’imposta e sul versamento del tributo e sia inidonea ad arrecare pregiudizio all’esercizio delle azioni di controllo».
  • Studi di settore
    Sono sempre di più e registrano un trend in costante aumento le bocciature della Corte di Cassazione nei confronti degli uffici che emettono accertamenti standardizzati da studi di settore. Un esempio è nella sentenza 9755/17, depositata il 18 aprile 2017. Per i giudici di legittimità, sbagliano e continuano a sbagliare gli uffici che considerano gli studi di settore uno strumento di accertamento.
  • Conti fittizi da provare
    Un esempio che portiamo a comprova del concetto e quello secondo cui in una sentenza di qualche anno fa la Cassazione, deve essere annullato l'accertamento dell'ufficio, che non ha “provato” in alcun modo che i versamenti rilevati sui conti personali del socio e della figlia fossero effettivamente riferibili alla società (ordinanza 9212/2018, depositata il 13 aprile 2018).

      Luciano PALMERI

(riproduzione©riservata)

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